Description
A Cuba c’è una certa polvere, detta aché, che gli indovini utilizzano per dare i propri vaticini: questa polvere è potere. In Amazzonia, i cani dei Runa sognano, e osservandoli si può capire cosa accadrà loro il giorno dopo nella foresta; e il sangue delle prede che i giaguari bevono è birra di manioca.Da circa vent’anni, un vento di novità percorre l’antropologia. Alcuni autori propongono di adottare un atteggiamento che chiamano «ontologico»: la polvere aché non «rappresenta» il potere, dicono, ma «è» potere. Il lavoro dell’antropologo non sarebbe più quello di interpretare ciò che incontra sul campo alla luce delle categorie scientifiche occidentali (società, scambio economico, potere), ma di entrare nei mondi alieni che gli si aprono. Non più «noi» che interpretiamo «loro», ma loro che ci trasformano. E c’è chi pensa che la stessa parola «cultura», ormai superata, debba essere sostituita da mondi plurali e da ontologie multiple, reali quanto la «nostra» ontologia, nella quale, però, la natura è una e identica per tutte le differenti culture. Prendere sul serio le culture indigene vuol dire cioè assumerle come mondi, con le loro leggi e le loro realtà.Ma è davvero così? L’antropologia è veramente di fronte a una svolta epocale? La «decolonizzazione permanente del pensiero» (Viveiros de Castro) è finalmente a portata di mano? Il presente libro cerca di rispondere a questi interrogativi, raccogliendo sette interventi di autori che hanno ispirato o contribuito alla «svolta ontologica», a cui si affiancano i due saggi dei curatori – un’antropologa e un filosofo –, nei quali si cerca di fare un bilancio dell’interesse e dei limiti di questa svolta.