Description
Il volume raccoglie i testi istruttori e gli interventi, in forma diretta, del II meetingdella Società Scientifica ProArch, tenutosi a Cagliari nel 2019, incentrato sulle problematiche sollevate dal celebre testo di Vittorio Gregotti, Il territorio dell’architettura (1966), proiettate però nel dibattito attuale attraverso due termini, «continuità» e «fragilità», che, pur avendo spesso costituito una oppositio semanticanell’interpretazione del progetto nel territorio, oggi rappresentano due angolazionivisive – indissolubilmente collegate – dello stesso tema.
Gregotti terminava il suo saggio facendo emergere, da un lato, la continuità dell’architettura come disciplina fondata sulla «qualità della permanenza dei suoi segni»,dall’altro, la fragilità della posizione già allora periferica del ruolo dell’architetto edello spazio architettonico «nella scala degli interessi umani rispetto alla mobilitàsociale o al problema della fame», concetti che la recente pandemia ha drammaticamente aggiornato.
Come chiosa Marco Biraghi, «ciò che Gregotti svolgeva, attraverso un’accurata disamina di strumenti, materiali, tecniche, significati del progetto, era il tentativo didare alla pratica artistico-scientifica dell’architettura una possibile fondazione chela sottraesse al pericolo probabilmente più grande ai suoi occhi, quello di un’arbitrarietà priva di ogni ancoraggio».
Sono i confini di un dibattito disciplinare fertile e aperto, che non affronta unicamente la reale capacità dell’architettura d’incidere sulla trasformazione dei luoghi,ma anche la sua attitudine a produrre forme di educazione alla conoscenza delterritorio e del paesaggio, oltreché a concepire progetti in grado di generare unavanzamento culturale, individuale e collettivo. In tal senso, continuità e fragilità sipongono come chiavi di lettura ineludibili e compresenti nell’interpretazione dellarealtà contemporanea e dell’operatività, teoretica e pratica, del progetto.
Gregotti terminava il suo saggio facendo emergere, da un lato, la continuità dell’architettura come disciplina fondata sulla «qualità della permanenza dei suoi segni»,dall’altro, la fragilità della posizione già allora periferica del ruolo dell’architetto edello spazio architettonico «nella scala degli interessi umani rispetto alla mobilitàsociale o al problema della fame», concetti che la recente pandemia ha drammaticamente aggiornato.
Come chiosa Marco Biraghi, «ciò che Gregotti svolgeva, attraverso un’accurata disamina di strumenti, materiali, tecniche, significati del progetto, era il tentativo didare alla pratica artistico-scientifica dell’architettura una possibile fondazione chela sottraesse al pericolo probabilmente più grande ai suoi occhi, quello di un’arbitrarietà priva di ogni ancoraggio».
Sono i confini di un dibattito disciplinare fertile e aperto, che non affronta unicamente la reale capacità dell’architettura d’incidere sulla trasformazione dei luoghi,ma anche la sua attitudine a produrre forme di educazione alla conoscenza delterritorio e del paesaggio, oltreché a concepire progetti in grado di generare unavanzamento culturale, individuale e collettivo. In tal senso, continuità e fragilità sipongono come chiavi di lettura ineludibili e compresenti nell’interpretazione dellarealtà contemporanea e dell’operatività, teoretica e pratica, del progetto.