Description
Ognuno ha un suo classico, ha detto Garboli, cioè «un compagno di veglia, un segreto e inseparabile interlocutore». Il suo, non c'è dubbio, è stato Molière, cui ha dedicato, nel corso di oltre un trentennio, memorabili saggi e rivoluzionarie traduzioni, sino a diventarne «interprete accanito e quasi maniacale». Sempre, occorrerà aggiungere, in un'ottica acutamente teatrale. Non a caso, radunando nel 1976 cinque testi molieriani, Garboli sottolineava di voler offrire «cinque copioni al teatro italiano di oggi, nella presunzione che il teatro di Molière sia portatore di un sistema di idee, di un messaggio che ci è oggettivamente contemporaneo». Epicentro di quel sistema di idee è per lui "Tartufo", oltraggiosa figura di servo che – infrangendo «l'antica, dura legge teatrale che fa dell'intelligenza dei servi un privilegio infruttuoso» – si cimenta nell'impossibile impresa di farsi padrone, e che dalla servitù si libera «con l'esercizio salutare, rassicurante, medico della politica»: sicché la pièce altro non è se non la «diagnosi comica e disperata della struttura politica della realtà, mascherata di valori intoccabili che si autolegittimano grazie alla santità di una causa e si presentano come la guarigione di un male». Ma rileggere gli scritti di Garboli sul "Tartufo" non significa solo ripercorrere la storia di un febbrile corpo a corpo con Molière: significa, soprattutto, riscoprire la più energica, spavalda, elettrizzante prosa critica del Novecento. Quella di un seduttivo, stregonesco «critico attore», giacché l'attore «esegue un testo come si esegue una partitura, o una vita» (Carlo Ginzburg).