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L’interesse per la religiosità popolare, basata da sempre su dati antropologici profondi, conosce in questi anni una rinnovata attenzione da parte soprattutto delle scienze cognitive e degli studi sulle emozioni legate alla corporeità, che stanno scoprendo quell’originario. Su questo sfondo fino a un recente passato sembrava curiosa – per esempio ai sociologi, per lo più incuranti dell’antropologico –, la relativa impermeabilità della religione popolare al fenomeno della progressiva secolarizzazione in Occidente. Oggi ci si deve ricredere: si fa strada l’idea più pertinente che la religiosità popolare, forte del suo patrimonio, abbia vinto non solo sulla secolarizzazione e sulla riduzione razionalistica della fede, ma soprattutto nei confronti della religione ufficiale. A fronte di percentuali ridotte al minimo di praticanti con forte appartenenza ecclesiale, si assiste a un numero progressivo di credenti con una loro religiosità «estemporanea», non regolata dall’istituzione. La teologia è piuttosto refrattaria a riflettere su questa evoluzione del senso religioso perché è sensibile soprattutto al conflitto con le sette e con le religioni orientali e islamiche, che sembrano guadagnare terreno anche in Europa mentre non si avvede che è in crisi il suo modello razionalistico di offerta del sacro.