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Si dice che il rancore sia lo stato affettivo dominante del nostro tempo: l’individuo sperimenta sempre di più un senso di avversione verso gli altri che, nella sua prospettiva, appare come la logica e naturale reazione ad un torto che egli è convinto di aver ricevuto con l’intenzione deliberata e malevola di mortificarlo.
L’azione di rivalsa nei confronti del presunto offensore è tuttavia tendenzialmente inibita, generando un assetto mentale stabile e compatto, in prevalenza inconscio, che lo obbliga a restare in perenne contatto con il proprio “oggetto” interno.
In questa sua ricerca, Cesare Secchi - noto al grande pubblico per il ciclopico lavoro dedicato a Cinema e Follia - prende in esame lo stato d’animo designato appunto come “rancore”, a partire da quattro storie cliniche nelle quali vergogna e invidia sembra assumano un ruolo importante.
Il blocco della risposta di rivalsa determina la stabilità di questa condizione affettiva “malata” e inibisce appunto quei possibili esiti del rancore - cioè la vendetta, il distacco parziale, o il perdono - che consentirebbero al soggetto di uscire dallo schema di assunzione cronica del proprio veleno interno consentendogli di ristrutturarsi tanto nel proprio mondo interno quanto nelle sue relazioni personali.