Description
Fra l’ottobre del 1946 e il maggio del 1947, con cadenza settimanale, Auden tenne alla New School for Social Research di New York un ciclo di lezioni dedicate al teatro e ai «Sonetti» di Shakespeare. Ma chi immagini austeri ed esclusivi seminari per dottorandi in letteratura inglese è decisamente fuori strada: Auden si rivolgeva a un pubblico variegato, tumultuoso ed entusiasta di non meno di cinquecento persone – tanto che era spesso costretto a «gridare a squarciagola» e pregava coloro che non riuscivano a sentirlo di non alzare la mano «perché sono anche miope». Armato solo dell’edizione Kittredge delle opere di Shakespeare, della vastità prodigiosa della sua cultura e del suo impareggiabile humour – ma soprattutto della convinzione che la critica è conversazione improvvisata –, Auden parlava a braccio, incantando tutti. Ma anche spiazzandoli con la sua temeraria spregiudicatezza di outsider: anziché affrontare le «Allegre comari di Windsor» fece ascoltare il «Falstaff», sostenendo che la pièce non aveva altri meriti se non quello di aver fornito spunto a Verdi. E giunto alla «Bisbetica domata» avvertì che non vi si sarebbe soffermato a lungo perché era un totale fallimento – prendendo le mosse da quella stroncatura per un «excursus» sulla farsa che spazia dal «Grande dittatore» di Chaplin a irresistibili considerazioni sulla guerra fra i sessi. Ma è forse nella lezione dedicata ad «Antonio e Cleopatra», l’opera prediletta, che ci è dato di cogliere le ragioni dell’appassionata adesione del pubblico, giacché anche nelle vesti di critico Auden resta essenzialmente un poeta, capace di «parlare a tutti» – con la stessa miracolosa leggerezza che attribuiva a Shakespeare.