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«La distruzione di un paesaggio è un crimine che dovrebbe valere ai responsabili la galera a vita.» Indro Montanelli, per decenni celeberrimo per le sue polemiche politiche, le sfuriate sui difetti degli italiani, gli elzeviri ricchi d’ironia, le rasoiate a questo o quell’uomo di potere, la franchezza dei dialoghi con i lettori, è stato il giornalista più conosciuto dell’ultimo secolo. Eppure una larga parte del suo lavoro, soprattutto (ma non solo) negli anni in cui il nostro Paese viveva una straordinaria stagione di euforia economica ma insieme di degrado culturale, ambientale, paesaggistico, è rimasta ignota. O quasi. Certo, in diversi ricordano ancora la storica battaglia per salvare Venezia ma restano stupefacenti il silenzio, l’oblio, la rimozione su decine di altre battaglie («quasi tutte perse» sospirava) combattute per il nostro patrimonio e in difesa dell’articolo 9 della Costituzione. Dall’assalto edilizio all’avvelenamento delle acque, dalla decimazione degli alberi al saccheggio dei siti archeologici, dalle coste sarde alle Dolomiti: non c’è tema sul quale non abbia lanciato l’allarme. Spesso ignorato. Anche da coloro con i quali avrebbe forse potuto dialogare. Offrendo a questo Paese prospettive diverse. Peccato.
A riscoprirlo oggi, unendosi al suo grido contro la devastazione del territorio, è Gian Antonio Stella che riporta alla luce testi formidabili, sepolti negli archivi ma quanto mai attuali. Testi che spiegano ciò che l’Italia è oggi e ciò che avrebbe potuto essere. O magari tornare a essere.