Storia della Filosofia del Diritto

(Parte speciale di Michele Roccisano)
Autore:
Editore:
Anno:
2011
ISBN:
9788824444392
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Il titolo del libro è aderente al suo contenuto: le varie concezioni sul diritto e la giustizia nell'evolversi dei movimenti di pensiero filosofico che la storia conosce fin dalle origini. In sostanza l'atteggiamento teorico della filosofia, nel suo sviluppo, in rapporto con i problemi inerenti alla giuridicità.. Non si tratta di rassegna di giuristi e pensatori politici, poiché non è storia del diritto né storia delle teorie politiche. Tuttavia è rassegna di filosofi, dei filosofi puri e del loro pensiero circa il diritto e la giustizia, ognuno nell'ambito della filosofia del tempo di appartenenza; compresi quei giuristi e pensatori politici maggiormente significativi, poiché maggiormente filosofi piuttosto che giuristi e pensatori politici. Ma, invero, non è solo questo. Il discorso evolutivo del pensiero giuridico pone in evidenza la disputa, sempre presente nella storia, tra due opposti atteggiamenti di fondo, quello dogmatico o concettuale-razionalistico e quello antidogmatico o storico-empiristico. Alle origini di tale antitesi bisogna risalire per poi percorrere il suo realizzarsi, il ripetersi, il progredire, onde poter capire il senso complessivo e finale (ai giorni nostri) dell'evoluzione, che è la scaturigine di quell'antitesi. In tale controversia la filosofia, in sé considerata nello specifico, accede scarsamente. Il pensiero greco antico non si occupa direttamente di diritto, ma di politica e di etica (oltre che di metafisica, conoscenza etc.). La filosofia greca ha breve durata, appena un secolo per quanto concerne i grandi sistemi di Platone e Aristotele. Il mondo romano-ellenistico viene influenzato dalla filosofia grecoclassica, ma non produce linee di pensiero originali. La più alta e raffinata giuridicità romano-classica, fino all'età tardoimperiale, si esprime con caratteri empirici, i cui contenuti sono prodotti dalla libera attività di pretori e giurisperiti (c.d. giurisprudenza dell'età classica, ars boni et aequi, arte dell'utile e dell'equo, in senso oggettivo). Con Giustiniano si apre la lunga epoca del medioevo, quasi dieci secoli dominanti dalla teologia e dal razionalismo dogmatico-scolastico. Il rinascimento pone l'uomo al centro dell'ordine universale, pone il razionalismo umanistico, che però tende ad esasperarsi nell'età illuministica, con l'esito finale di un ripetuto e rinnovato dogmatismo, quello del successivo positivismo giuridico e scientifico. L'età contemporanea è l'età dello scientismo, ove la filosofia è scienza, priva di fondamento etico e metafisico. * Dunque, se non è la filosofia la giusta sede originaria ove poter ricercare l'antitesi tra dogmatismo e antidogmatismo, e se il diritto ha fondamento filosofico se e fino a quando esso ha fondamento etico, si pone l'onere di indirizzare l'indagine in altri settori del pensiero umano, e in altre civiltà più antiche di quella greca, luogo natale della filosofia. Nel contesto totale della storia dell'uomo infatti la filosofia greca è solo una realtà episodica, un'età umanistica e laica, in rapporto e reazione con una ipotetica età precedente, caratterizzata da oscurantismo oppressivo e politeistico. Da circa cinquemila anni, fra il quarto e il terzo millennio a.C., data l'origine di civiltà superiori protostoriche: le civiltà semitiche, mesopotamiche (sumeri, assiri, babilonesi), quella egizia e quella ebraica. Con esse ha fine la preistoria e inizia la storia, stante la conquista della scrittura (ideografica, poi cuneiforme e infine sillabica). Queste civiltà hanno avuto destino diverso, ma tutte sono state caratterizzate dalla specifica forma di pensiero umano che è quello religioso. Col tempo solo la civiltà ebraica non scompare e resiste nella storia, portando con sé una religione particolare totalmente diversa, legata alle origini della creazione del mondo ed alla rivelazione divina. Da essa deriva il cristianesimo, che doveva diventare la religione dell'impero romano e dell'intero mondo occidentale, dapprima dell'Europa e poi anche delle due Americhe. Ancora, all'ebraismo e al cristianesimo doveva infine seguire un'altra religione, l'islamismo. Il tutto ha origine semitica. La particolarità consiste nel fatto che la religione ebraica è costituita ed espressa da rivelazione depositata una volta per tutte nelle sacre scritture, predicazioni profetiche, destinate a rimanere come dato storico e soprattutto come manifestazione di regola etica e di legge vigente. Nell'ebraismo, rivelazione e legislazione vanno di pari passo. Si tratta di un corpus storico-legislativo, comprensivo del decalogo di Mosè, che si può definire come uno dei primi ordinamenti giuridici della storia, unitamente a quello babilonese di Hammurabi. Sulla stessa linea con valore etico-normativo vanno ricondotti il nuovo testamento ed il vangelo cristiano, nonché il corano islamico. Si può parlare di ethos fondamentale comune delle tre religioni profetiche, con valore normativo proprio. Le scritture sono il campo di battaglia di quell'antitesi tra dogmatismo e antidogmatismo giuridico che da sempre si ripete metodologicamente nella storia. Nell'ambito dell'ebraismo delle origini, le classi dominanti imponevano la loro legge su quelle subalterne, nel continuo conflitto tra legalismo e antilegalismo. Cristo è l'antilegge e l'apostolo Paolo è il maggiore interprete dell'antilegalismo, avverso l'atteggiamento dogmatico-letterale dei farisei. L'empirismo giuridico romano dell'età classica è il frutto delle influenze metodologico-intepretative della legge con carattere casuistico, del caso concreto, non già apodittico, perentorio e uniforme, quando Roma accoglie e governa genti di tutte le razze, a seguito dell'espansionismo territoriale nel mediterraneo, probabilmente importando dal sud del mondo allora conosciuto quel carattere e quella metodologia. Con Giustiniano prevale invece il dominio del razionalismo dogmatico, unito alla giuridicizzazione teologica, nel segno del cristianesimo, che, paradossalmente, in precedenza era stato combattuto, ripetendo una giuridicità analoga al legalismo letterale farisaico, rigido e formalistico. Le opposizioni al dogmatismo medievale si hanno con la riforma protestante e, nel campo giuridico, con l'empirismo anglosassone, che può essersi originato da quelle forme culturali, metodologiche, antidogmatiche, interpretative delle sacre scritture. Da qui il dipanarsi antitetico e storico che vede, da una parte, le giuridicità dogmatiche, europee continentali, prima volontaristiche ed assolutistiche, poi attratte negli stati di diritto con costituzionalismo rigido; mentre, dall'altra parte, si pone il costituzionalismo elastico e la giuridicità consuetudinario-equitativa, anglosassone prima e nordamericana poi, simile a quella romano-classica; ovverosia la civil law razionalistica, di contro common law empiristica: due poli opposti di giuridicità che attualmente governano il diritto nel mondo, ciascuna nell'ambito delle rispettive aree geografiche; laddove il superiore riflesso religioso è, parimenti, dogmatico da una parte, cristiano-cattolico-ortodosso (ebraismo dogmatico), antidogmatico dall'altra, protestante e scismatico (ebraismo antidogmatico). Così, tra tesi e antitesi, dogma e antidogma, razionalismo ed empirismo, con ripetizione di quanto già accaduto nella principialità, in seno all'ebraismo delle origini. * Detta ipotesi, che tendo a prospettare, è posta in un discorso unitario, nel tratto della continuità, ragionando tra certezze e verosimiglianze. Sono ben lontano da finalità diverse da quelle concernenti l'oggetto della trattazione e non intendo assolutamente significare grossolane impronte o nature di superiorità dell'ebraismo, ancor meno in via surrettizia. Va rilevata invece la peculiare capacità dell'ebraismo di sopravvivere e continuare nella storia rispetto ad altre civiltà trasformate e scomparse. La qual cosa è probabilmente normale nel solco dell'energia vitale della storia stessa, che spinge ad informare le civiltà successive e più giovani da parte di quelle più antiche, le quali nelle prime si trasfondono. Dalle scritture tuttavia risulta che per gli ebrei più antichi tutto ciò era interamente prevedibile, pur nel passaggio, nel corso dei millenni, attraverso drammi, catastrofi, persecuzioni e odi. Per costoro non avrebbe potuto essere altrimenti: la provvidenza era la loro speranza e aiuto reale. È la stessa provvidenza di cui parla Vico nel suo sistema antirazionalistico e storicistico. È la stessa provvidenza che ci fa conoscere Manzoni nel suo romanzo. Vico e Manzoni sono entrambi di progenie ebraica: per costoro la provvidenza è una realtà della storia, operante nella storia. È giusto che lo storico laico neghi la provvidenza: egli deve tener conto solamente delle realtà effettive, non già di quelle supposte. Tuttavia è lecito domandarsi se l'eccessivo dubbio e negazione costituiscano sempre un metodo positivo nella indagine storica, attese le dinamiche degli eventi e le finali risultanze. Forse lo storico dovrebbe tener conto di ogni tipo di esiti storici, compresi quelli che sono o sembrano essere metafisici, quando si tratta di verifiche fattuali e riscontri oggettivi (Johnson). * L'analisi storica serve altresì ad evidenziare l'eterna crisi delle giuridicità dogmatiche, in particolare della nostra civil law, a fronte invece dell'utilitarismo offerto per le società civili, e nelle società civili, dalla giuridicità empirica, la common law angloamericana quale esempio reale ed attuale, che, nel metodo, costituisce la vera ed unica erede della giurisprudenza romano-classica. Uscire dalla crisi significa dover abbandonare il dogmatismo e la dottrina, abbandonare civil law ed il costituzionalismo rigido, onde creare, nell'universalismo europeo, che si auspica vada a realizzarsi anche ad ampio raggio territoriale, una giuridicità consensualistica e comune, come indica e bene insegna common law, che nel suo realizzarsi storico richiede spazio geografico sempre più allargato, ma ancor prima la simile giurisprudenza pretorile romano-classica; come insegna, in ultima e fondamentale prospettiva, l'ebraismo antidogmatico, che non conosce filosofia ed etica sistematiche, né diritto aprioristico e dogmatico, praticando solamente il metodo storico e pragmatico, nel legame principiale con le scritture e la rivelazione. La convivenza pacifica e l'economia universale tra i popoli esigono, nella globalizzazione, un diritto altrettanto universale e mobile, consuetudinario, consensualistico ed equitativo, nella centrale operatività dei giudici e delle professioni liberali, garanti non di stato, gestori immanenti e quotidiani dei princìpi costituzionali elastici e delle direttive di fondo in ogni settore del diritto, garanti che gestiscano un diritto non di stato, bensì un diritto che nasce nelle società civili e per le società civili, e che sia funzionale a svolgere il compito utilitaristico di argine e contrappeso rispetto a quello prodotto nelle sedi legislative. Se il diritto impositivo è in crisi da sempre, improduttivo e talvolta dannoso, è inutile continuare ad indagare su correttivi e possibili riforme, senza risultato, occorre un non diritto, occorre l'equità e la consuetudine, il costituzionalismo elastico, nel baricentro delle società civili e delle professioni liberali, occorre rinunziare al diritto in quanto legge e legittimità, occorre parallelamente abbandonare la dottrina e la scienza giuridica razionalistica, sistematica ed aprioristica. Le soluzioni intermedie e mediative risultano ancor più dannose: unire, mistificando, la realtà alla forma, come nel caso dell'idealismo logico di Hegel, riconduce al razionalismo più spinto, con maggiore e pericoloso scontro interno al dogmatismo, come le esperienze belliche del novecento hanno ben dimostrato nell'Europa continentale. Ma se il diritto e gli assetti costituzionali sono il riflesso laico, il prodotto di opposti atteggiamenti religiosi, tra dogma e antidogma, riflesso metodologico sul piano civile di quello religioso, essendo state le metodologie religiose ad offrire i propri e rispettivi modelli di giuridicità, nella comune radice monoteistica ed ebraica, abramitica e vete24 rotestamentaria, di conseguenza occorre principalmente che tra le stesse religioni vi sia dialogo ed accostamento. Anche il mondo islamico dovrà abbandonare il costituzionalismo teocratico rigido e le giuridicità impositive interne, se vorrà costruire una propria casa comune, nel dialogo e nella pacificazione. Quando potrà sembrare che la «laicità» del diritto e delle politiche civili non abbia nulla a che vedere con le religioni, allora bisognerà sperimentare nel concreto se ed in che misura le varie nazionalità europee e del mediterraneo saranno effettivamente in grado di costruire nuovi assetti costituzionali elastici ed allargati, con interne giuridicità non impositive e vincolanti. Conquistare la «laicità» per porre i popoli nella piena libertà civile e storica, significa altresì affrancarli dai metodi di giuridicità vincolanti, che in ultima analisi sono gli strumenti operativi appositi, tramite i quali il dogmatismo, religioso o laico che sia, ma anche scientifico, economico, di insegnamento, e quant'altro, tutto insieme, trova la via della riaffermazione e del protezionismo. È bene evidente pertanto che la questione è abbastanza delicata e profonda: la crisi del sistema giudiziario, del diritto e della scienza giuridica, equivale alla crisi del dogmatismo e del razionalismo filosofico, nonché religioso, nella comune base metodologica. Il cosiddetto egualitarismo posto dalla legge serve alle società immature non in grado di confrontarsi con la storia, in più pone le genti e le nazionalità nei conflitti interni e nella perenne tensione di conquista delle libertà civili, politiche e giuridiche, senza mai realizzarle; genti e nazionalità che finiscono imprigionate in un plagio culturale individuale e collettivo, incapaci anche solo di comprendere che i diritti di ciascuno e di tutti vanno garantiti e realizzati nel quotidiano, non già scritti e dichiarati, ed anzi traditi proprio perché solamente dichiarati. I cittadini della polis greca antica tendevano alla democrazia delle leggi, democrazia isonomica e paritaria, nell'utopia, come i social comunisti dell'epoca contemporanea: il credo ideologico, simile e di entrambi, è per l'appunto il frutto della suggestione intellettuale che la stessa legge produce, in quanto apparente previsione aprioristica e garantistica. Ma la reale mortificazione delle intelligenze, l'azzeramento culturale legalista e dottrinale, sono d'altra parte azionati e prodotti da chi, avvertito, ben sa e tace, aspettando che le conflittualità «egualitarie» e «democratiche» si consumino in loro stesse, fermo restando il vincolo stretto della legge, che, in qualunque direzione potrà andare, sarà sempre e comunque espressione di affermazione apodittica, uniforme, impositiva, e certamente mai servirà alla vera democrazia. Il razionalismo filosofico da sempre pretende di interpretare la storia ed i suoi eventi, in realtà si sovrappone ai fenomeni culturali, tradendoli, travisandoli e talvolta negandoli: la storia della filosofia dimostra il continuo e concatenato razionalismo, nel suo perenne conflitto interno, nella sua eterna crisi ed inutilità effettiva. L'ebraismo antidogmatico di tutti i tempi, non cristiano e non islamico in quanto antiteologico, e perciò asistematico ed antirazionalistico nei metodi conoscitivi, di manifestazione e realizzazione, portatore invece di storicismo, considera la filosofia come la faccia antitetica e negatrice della storia: e #8212; «dunque tutti i libri di filosofia che hai letto e scritto erano una gigantesca menzogna?» e #8212; «peggio... erano sciocchezze» (I.B.Singer, dal racconto «Ritrovarsi», dialogo tra Liza e Max; New York, 1981). * La necessità di porre definizioni e certezze, onde fornire chiara sintesi e supervisione complessiva, comporta carenze ed errori di cui sono consapevole e anche l'unico responsabile. Mando alla letteratura specializzata per ogni ricerca e approfondimento di più ampia portata, lo stesso per la vastissima bibliografia, consigliando altresì la lettura diretta delle opere scritte dai vari filosofi. Opere che peraltro non indico al fine di lasciare libera la scelta, che va orientata verso tutti gli scritti relativi agli stessi pensatori e non solo quelli che riguardano il diritto, la cui concezione va appresa unitamente all'intero sistema speculativo di riferimento e del relativo periodo storico-culturale.



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