Description
L’istruzione è il substrato della convivenza, il laboratorio in cui si sperimentano le forme di vita possibili. È per questo che il capitalismo cognitivo si è assunto il compito di assaltarne tutti gli ambiti: l’educazione formale e quella informale, le risorse, gli strumenti, le metodologie. Educare non è solo un grande affare, è un campo di battaglia in cui la società distribuisce, in modo disuguale, i propri futuri.
Dicono i pedagogisti che bisogna cambiare tutto, perché il mondo è cambiato per sempre. Questa affermazione nasconde le domande che ci fanno più paura: a cosa serve sapere se non sappiamo come vivere? Perché apprendere se non possiamo immaginare come sarà il futuro? Non avere risposte ci fa provare vergogna, ed è sempre più facile sparare contro i maestri e gli educatori. Ma la domanda che una società che vuole guardarsi in faccia deve avere il coraggio di condividere è un’altra: come vogliamo essere educati? È un interrogativo che ci riguarda tutti. Perché tutti siamo apprendisti nel laboratorio in cui si sperimentano le forme di vita possibili.
Educare non è applicare un programma. Educare è accogliere l’esistenza, elaborare la coscienza e contestare il futuro. Dentro e fuori dalle scuole, l’educazione deve essere l’invito ad assumersi il rischio di imparare insieme, contro le servitù del nostro tempo.
Notes biographiques
Marina Garcés (Barcellona, 1973) è filosofa e docente universitaria. Dopo aver insegnato per quindici anni all’Università di Saragozza, attualmente è responsabile del Master di Filosofia sulle sfide del mondo contemporaneo dell’Universitat Oberta de Catalunya. È promotrice del collettivo di riflessione critica Espai en blanc e del progetto Escola de pensament del Teatre Lliure di Barcellona. Ha pubblicato diversi saggi di lettura filosofica dei problemi dell’attualità, tra cui Ciutat Princesa (2018), Fora de classe (2016), Filosofía inacabada (2015), Un mundo común (2013). Per il suo fortunato pamphlet Il nuovo illuminismo radicale (Nutrimenti, 2019, con la prefazione di Michela Murgia) ha ricevuto il Premio Ciutat de Barcelona.