Descripción
Il libro dell'acqua e di altri specchi si apre in una città fittizia chiamata Zamana, in Pakistan. Nargis e Massud sono una coppia di architetti, uniti da un'affinità elettiva con cui hanno sapientemente modulato ogni fase della loro relazione. Eppure Nargis ha nascosto per tutta la vita al marito un elemento fondante e pericoloso della sua identità: è nata cristiana, con il nome di Margaret, ma crescendo si è finta musulmana per sfuggire agli abusi e alle oppressioni. Quando Massud muore in uno scontro a fuoco, la vita di Nargis inizia a sgretolarsi. Intanto qualcuno si serve degli altoparlanti dei minareti per rivelare i segreti e le dissolutezze degli abitanti, diffondendo il terrore in un Paese in cui l'accusa di blasfemia può costare la vita. I misteriosi annunci presto diventano persecuzioni e Nargis sarà costretta a fuggire. In questo mondo al limite della distopia, diverse trame amorose si liberano come fiumi in piena e con la loro poesia fanno da contraltare all'orrore. Questo romanzo è un ritratto rivelatore dello spirito umano, una storia di corruzione e resistenza, di amore e terrore, e delle maschere che a volte è necessario indossare per salvarsi.
Il libro dell'acqua e di altri specchi è al contempo una storia di formazione sentimentale, uno studio sulla perdita e un ritratto lucido dei conflitti che pervadono il Pakistan contemporaneo. È un romanzo importante dalla prosa cristallina e dai personaggi abilmente caratterizzati nelle loro sfumature emotive. Seppure crudo nella rappresentazione del brutale esercizio del potere, è un inno alla resilienza.
– Laura Garmeson, Financial Times
Aslam ha costruito un corpus di opere in cui descrive nel dettaglio il peggio cui gli uomini possono arrivare e ci è riuscito usando una prosa che suggerisce le possibilità salvifiche dell'arte. Orrore e bellezza convivono in un equilibrio precario.
– Peter Parker, The Spectator
Sbalorditivo… un romanzo magistrale, con una complessa stratificazione di simboli e una trama puntellata di colpi di scena drammatici fino all'ultima frase.
– Rebecca Steinitz, The Boston Globe