Descripción
Gli scritti che si presentano qui al lettore, ospitati in uno dei “Quaderni” del prestigioso Archivio di storia della cultura napoletano, sono il frutto di una densa Giornata di Studi – Eredità di Alberto Caracciolo: filosofia, esperienza religiosa, poesia – che si svolse il 7 maggio 2018 nell’Aula Magna della Scuola di Scienze umanistiche dell’Università di Genova.
L’intento di quella iniziativa era di onorare, a cent’anni dalla nascita, la memoria e l’eredità di un Maestro; di farlo non con una rituale commemorazione accademica – nessuno, credo, ricorda Caracciolo (22 gennaio 1918/4 ottobre 1990) come un accademico a tutto tondo – ma con un rinnovato impegno di lettura e di studio che discutesse, se non tutti, almeno alcuni degli aspetti sempre vivi ed attuali del suo filosofare. Ed era inevitabile, gravitando per naturale propensione il pensiero di Caracciolo sulla dimensione più radicale dell’esistere, il religioso, che gli interventi dei relatori si concentrassero, quel giorno, soprattutto su questa fondamentale struttura esistenziale, ne indagassero la relazione col poetico e con l’etico e il rapporto con la storia, sviluppandosi in prevalente colloquio con quegli autori (da Platone ad Agostino, da Lessing a Kant, da Hegel e Schleiermacher a Troeltsch, da Croce e Gentile a Jaspers e Heidegger) con i quali Caracciolo, che si era filosoficamente formato alla scuola di Adolfo Levi (1878-1948), ha più intensamente dialogato.
Chi era Caracciolo? mi chiedono anche oggi i giovani studenti – e non intendono ch’io risponda loro dicendo che Caracciolo è stato titolare, in Italia, della prima cattedra di filosofia della religione e che ha insegnato Estetica, Filosofia della religione e Filosofia teoretica nell’Ateneo genovese, dove ha svolto il suo magistero, con largo seguito di studenti, per almeno un quarantennio. Essendo intelligenti, i nostri giovani attendono qualcosa di più e di diverso. Desiderano incontrare, anche mediata da altri, una personalità, poiché ne conoscono poche e se ne sentono orfani nel nostro presente.
I ricordi che abbiamo di Caracciolo non sono privi di note contrastanti. Alcuni schizzi che gli ha riservato padre Tilliette, da poco scomparso, potrebbero far pensare che egli fosse oppresso, in quanto pensatore del malum mundi, da qualche segreto tormento. Altri cenni, di Pietro Prini, lo descrivono piuttosto come un uomo aperto alle gioie delle buone cose del mondo. Un ritratto non esclude ma integra l’altro. Dobbiamo al suo allievo migliore, Giovanni Moretto, una splendida biografia che ricostruisce l’itinerario filosofico e umano del Maestro. Certamente, per come io lo ricordo, Caracciolo era un uomo capace di grande humour e di grande ironia. Lo rivedo al termine delle sue lezioni, a volte infuocato, a volte affaticato, a volte, negli anni ’70 del secolo scorso, irritato dalla gazzarra dei contestanti. Non mi riesce invece, poiché non lo fu mai, di ricordarlo vecchio, e ho per questo voluto, sulla locandina della Giornata di Studi genovese, una foto che lo ritraesse sorridente, in un momento di gioiosa serenità, come l’ho visto sovente più fuori che dentro le aule universitarie.
Che Caracciolo sia stato un pensatore profondo, religiosamente inquieto, un filosofo della libertà di non trascurabile grandezza, traspare già dalla sua capacità di coniare, di fronte ai problemi più assillanti della filosofia, formule personali originalissime, quale che sia stata, in seguito, la loro pubblica fortuna. Interrogazione jobica, sofferenza fenomenicamente inutile, spazio di Dio, Nulla religioso, imperativo dell’eterno, etica come fenomenologia dell’eterno nella storica temporalità dell’esistere, ermeneutica come semiologia religiosa dell’eterno e semiologia etica del futuro, sono tutte formule sue; abbreviazioni che restituiscono la densità di un pensiero solo in parte espressione di un’epoca segnata dall’assenza di Dio – un’epoca della quale Caracciolo seppe farsi originalissimo interprete proprio perché non credeva che il nichilismo fosse solo uno stigma epocale. E sono abbreviazioni o cenni che attendono ancora il loro pieno svolgimento, com’è, per esempio, del tema e problema dell’etica come fenomenologia storica dell’eterno, che va molto al di là dell’intuizione platonica e aristotelica – l’ὁμοίωσις θεῷ, l’ἀθανατίζειν – che pure ne è alla base. Peraltro, gli interrogativi e i problemi che costituivano il suo tormento e il suo assillo di filosofo – penso soprattutto al destino di tutte le vittime innocenti e alla pietosa e opaca figura dell’idiota, segno d’un enigma più oscuro del mistero della morte – Caracciolo li raccoglieva, prima e più che dalla lettura di filosofi e poeti, dall’esperienze della vita, come testimonia la sua straordinaria amicizia con Teresio Olivelli (1916-1945), il martire di Hersbruck. Incontrare lungo il mio cammino un Maestro, un pensatore che, fuor di ogni confessione, cristiano senza chiesa se non quella invisibile, angosciato del malum mundi aveva posto al centro della sua meditazione e del suo umanesimo il problema religioso, la relazione del singolo con la Trascendenza, questa è stata certamente non solo una mia fortuna.
Vorrei però che più della voce di un affezionato scolaro intervenisse infine, a ricordare la figura di Caracciolo, la preziosa testimonianza di un Amico; e a tale fine niente mi pare più opportuno e più bello che riportare qui il testo della splendida lettera con la quale Fulvio Tessitore volle onorarci in quella ricorrenza:
“Cari Amici,
se avessi potuto sarei venuto di persona a ricordare con Voi un grande studioso e un grande Amico, che mi onorò con la sua benevolente attenzione.
Devo la conoscenza di Alberto Caracciolo, come tantissime cose importanti della mia vita, e non solo degli studi, al mio grande, indimenticato, indimenticabile maestro Pietro Piovani. Il quale aveva grande considerazione per Caracciolo, che da subito mi presentò come una delle figure “più pensose” della cultura filosofica del Novecento italiano. Chi ha conosciuto Piovani e sa il rigore e la severità del suo pensiero e dei suoi giudizi, sa capire che cosa significava una così semplice definizione.
Non a caso egli volle un volume di Caracciolo, e si trattò di un’opera assai significativa, come Religione ed eticità, nella sua “Collana di filosofia”. Posso dire – per me è un vanto – che fui io a suggerire a Piovani di chiedere a Caracciolo la traduzione e presentazione (che è un lungo saggio tra i più acuti sul filosofo e teologo dello Historismus) de L’assolutezza del Cristianesimo di E. Troeltsch? Fui io più tardi che chiesi a Caracciolo di venire a Napoli per tenere alcuni seminari. E ho ancora viva negli occhi e nella mente l’intensità delle lezioni di Caracciolo, che quasi si trasformava tant’era la presa che, prima di ogni altro su lui stesso, esercitava l’estrinsecazione del suo pensiero, mai scolastico, mai scontato. Lasciatemi aggiungere che anche io chiesi a Caracciolo, che mi accolse tra i suoi amici e corrispondenti, un volume di scritti, che egli accettò subito di pubblicare in una collana napoletana da me diretta. Fummo subito avvicinati dal comune, diverso interesse per lo Historismus e per Meinecke, forse perfino più ancora che per Troeltsch. È sempre viva in me la lettura, lo studio della sua importantissima indagine su La religione come struttura e come modo autonomo della coscienza. Fu facile, facilissima, dunque, l’intesa di pensiero e l’amicizia affettuosa tra me e Giovanni Moretto, che Voi sapete bene quanto e come fu legato a me, come io a lui. Diversissimi fummo vicinissimi, e credo di averlo mostrato, anche di recente, scrivendo di Giovanni in “Humanitas” pagine che ho tra le più care.
Potrei continuare a lungo. Non lo faccio. So che ho in Voi degli Amici più cari, come si sa essere quando si sa, si sente, si capisce quanto si ha in comune, nel caso nostro qualcosa di prezioso e di ineffabile com’è di “ciò che si è ricevuto e si è fatto proprio per possederlo”, stupendo pensiero di Goethe, altro legame tra Caracciolo, Moretto e me. So che mi considerate un po’ dei vostri, se troppo non chiedo e presumo. Credo di poterlo dire, se non altro, in nome di una non diversa infrangibile fedeltà ai Maestri, come non sanno capire e vivere solo gli ipocriti, i meschini, i falsi, i profittatori.
Con un abbraccio, Vostro aff.mo Fulvio Tessitore”.
Davvero non resta, a questo punto, che ringraziare dal profondo del cuore non solo Fulvio Tessitore per il commosso ricordo, ma insieme a lui la dott.ssa Maria Liguori e i professori Domenico Conte ed Edoardo Massimilla, che generosamente ci accolgono nei «Quaderni» dell’Archivio, e tutti gli amici e i colleghi che hanno voluto onorare, con la parola e con lo scritto, la memoria e l’opera di Alberto Caracciolo.