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Per alcuni il pragmatismo è soprattutto una scuola di pensiero peculiarmente statunitense. Eppure, moltissimi dei più fruttuosi contributi della filosofia occidentale contemporanea – su entrambe le sponde dell'Atlantico – non sono che sviluppi o variazioni sui temi cari a questa tradizione, che vede in Charles S. Peirce, William James e John Dewey i propri fondatori. Per dimostrarlo, Richard J. Bernstein non si limita a prendere in esame i classici del pragmatismo di fine Ottocento, ma dipana i variegati fili che da allora intrecciano il lungo cammino delle idee, fino agli anni più recenti. Emerge così tutta l'attualità di un modo di praticare la filosofia che fa del primato dell'esperienza, della comprensione del mondo sociale e delle politiche di costruzione attiva di un ordine realmente democratico la posta in gioco del pensiero. Il pragmatismo prende le mosse da una critica radicale del cartesianismo, e dunque dal rifiuto di ogni netta separazione tra mente e corpo, soggetto e oggetto, e di ogni illusoria «ricerca della certezza». Nega l'esistenza di una conoscenza «autentica» con fondamenta indubitabili, e che sia possibile mettere da parte tutti i pregiudizi grazie al dubbio metodico. Quella pragmatista è al contrario una concezione non-fondazionale e autocorrettiva della ricerca filosofica, che rinuncia a ogni astrattezza e si basa sulla comprensione del modo in cui gli esseri umani sono formati dalle pratiche sociali normative e contribuiscono a definirle. Perfino in pensatori che non conoscevano i testi pragmatisti, come Wittgenstein e Heidegger, si rintraccia l'eredità di questa impostazione, che ha assorbito e poi trasformato la «svolta linguistica» influenzando alcune delle posizioni filosofi che più originali e feconde degli ultimi cinquant'anni: dal «pragmatismo kantiano» di Jürgen Habermas all'umanesimo profondo di Richard Rorty, alle riflessioni su fatto e valore di Hilary Putnam. Sul pragmatismo è un'indagine lucida e completa sulla diffusione globale e la continuità degli argomenti pragmatisti, ma rappresenta anche un'esortazione a riscoprire il ruolo critico della filosofia nel guidare le nostre scelte, nell'arricchire la nostra esperienza quotidiana e nel promuovere quella che Dewey chiamava «democrazia creativa».