Description
Undici racconti perfetti
«Un piccolo perfetto Classico del Novecento.»
Corriere della Sera - Alberto Arbasino
«Strepitosi, non c'è aggettivo più moderato per definire i racconti di Dorothy Parker.»
Tuttolibri - Elena Loewenthal
“Nei suoi racconti, Dorothy Parker rivela un senso della forma che oggigiorno è davvero raro. Sa sempre come cominciare e come concludere: alla fine, non rimane mai nulla in sospeso, perché ha detto tutto quello che il lettore deve sapere. E ha un orecchio finissimo per la lingua: le bastano poche battute di dialogo per tratteggiare un personaggio in tutta la sua plausibile implausibilità. Il suo stile è semplice e diretto, senza affettazione, uno strumento perfetto per far emergere tutte le sfumature della sua ironia, del suo sarcasmo, della sua tenerezza, del suo pathos.” Così W. Somerset Maugham descrive Dorothy Parker, sintetizzandone l’estrema efficacia e la straordinaria attualità. E, a rendere ancora più incisivi gli undici racconti qui presentati, c’è il palcoscenico su cui si svolgono, cioè quello della borghesia americana, oggi come allora segnata da vanità e snobismi, da ipocrisie grandi e piccole, da velleità e illusioni. Poi ci sono le donne, tutte indimenticabili: dalla silenziosa, sofferente Mona della Signora della lampada, uno dei più delicati e insieme crudeli racconti sull’aborto mai scritti, all’ansiosa Jean di Da New York a Detroit, il cui slancio amoroso si sgretola nel corso di una telefonata; dalla “piccola Mrs Murdock” di Alla luce del giorno, il cui ingenuo, vitale entusiasmo per l’incontro con una famosa attrice si spegne nella disillusione, a Big Lannie di Vestire gli ignudi, che, nonostante anni di lavoro indefesso, non riesce a suscitare neppure un moto di pietà nelle “signore” quando scopre che suo nipote è nato cieco. Il quadro che si disegna attraverso queste brevi storie ha quindi, come ha scritto Fernanda Pivano, “un tono agrodolce basato sulla stessa disperazione e amarezza, sfiducia e delusione che avevano ispirato lo scontento e la protesta della cosiddetta
Generazione Perduta, ma reso spumeggiante da un’eleganza apparentemente superficiale […] e reso drammatico dalla partecipazione alle ingiustizie sociali che ispirarono invece la generazione degli anni Trenta”.
«Un piccolo perfetto Classico del Novecento.»
Corriere della Sera - Alberto Arbasino
«Strepitosi, non c'è aggettivo più moderato per definire i racconti di Dorothy Parker.»
Tuttolibri - Elena Loewenthal
“Nei suoi racconti, Dorothy Parker rivela un senso della forma che oggigiorno è davvero raro. Sa sempre come cominciare e come concludere: alla fine, non rimane mai nulla in sospeso, perché ha detto tutto quello che il lettore deve sapere. E ha un orecchio finissimo per la lingua: le bastano poche battute di dialogo per tratteggiare un personaggio in tutta la sua plausibile implausibilità. Il suo stile è semplice e diretto, senza affettazione, uno strumento perfetto per far emergere tutte le sfumature della sua ironia, del suo sarcasmo, della sua tenerezza, del suo pathos.” Così W. Somerset Maugham descrive Dorothy Parker, sintetizzandone l’estrema efficacia e la straordinaria attualità. E, a rendere ancora più incisivi gli undici racconti qui presentati, c’è il palcoscenico su cui si svolgono, cioè quello della borghesia americana, oggi come allora segnata da vanità e snobismi, da ipocrisie grandi e piccole, da velleità e illusioni. Poi ci sono le donne, tutte indimenticabili: dalla silenziosa, sofferente Mona della Signora della lampada, uno dei più delicati e insieme crudeli racconti sull’aborto mai scritti, all’ansiosa Jean di Da New York a Detroit, il cui slancio amoroso si sgretola nel corso di una telefonata; dalla “piccola Mrs Murdock” di Alla luce del giorno, il cui ingenuo, vitale entusiasmo per l’incontro con una famosa attrice si spegne nella disillusione, a Big Lannie di Vestire gli ignudi, che, nonostante anni di lavoro indefesso, non riesce a suscitare neppure un moto di pietà nelle “signore” quando scopre che suo nipote è nato cieco. Il quadro che si disegna attraverso queste brevi storie ha quindi, come ha scritto Fernanda Pivano, “un tono agrodolce basato sulla stessa disperazione e amarezza, sfiducia e delusione che avevano ispirato lo scontento e la protesta della cosiddetta
Generazione Perduta, ma reso spumeggiante da un’eleganza apparentemente superficiale […] e reso drammatico dalla partecipazione alle ingiustizie sociali che ispirarono invece la generazione degli anni Trenta”.
Biographical notes
Istrionica, beffarda, modernissima, Dorothy Parker (1893-1967), nata Rothschild, comincia a scrivere per Vogue nel 1914 e in seguito prende il posto di P.G. Wodehouse a Vanity Fair, ma viene licenziata per i suoi testi troppo espliciti. In segno di solidarietà, si dimettono altri due giornalisti, Robert Benchley e Robert E. Sherwood, e creano con Parker la famosa Tavola Rotonda all’Algonquin Hotel che, come recita una targa visibile ancora oggi, “con la forza del carattere cambiò la natura della commedia americana e fissò nuovi canoni estetici di una nuova stagione delle arti e del teatro”. Non meno importante è il suo impegno politico; nel 1936, favorendo la creazione della Lega antinazista a Hollywood, si attira l’accusa di essere una simpatizzante comunista e, negli anni ’50, viene indagata dall’FBI, finendo così nella “lista nera” di Hollywood, in cui erano elencati quegli sceneggiatori, attori, registi e scrittori sospettati di svolgere attività antiamericane e ai quali era dunque vietato dare lavoro. Negli anni ’60, diventa una convinta sostenitrice del movimento per i diritti civili e infatti, poco prima della sua morte, nomina suo erede universale Martin Luther King.