Description
Palermo, 1797. Bellissima e sensuale, ambiziosa e cinica, caparbia e disposta a tutto pur di raggiungere i suoi obbiettivi, la vicenda della duchessa Flora di Canavilla si intreccia con quella di molteplici personaggi, tutti egualmente intensi. Chi però rappresenta il cardine e il collante dell'affascinante romanzo, è l' "uomo mascherato", il bandito paladino dei diritti dei più indifesi, per il bene dei quali è disposto a qualsiasi sfida. La sua vera identità è il grande e costante enigma, mentre una fitta rete di situazioni, di delitti perpetrati per appropriarsi di beni altrui, di segregazioni e di violenze, di rapporti amorosi forti e contrastati si sussegue all'interno di una mirabile architettura narrativa sino a un finale non facilmente prevedibile.
Con la sua trascinante passionalità, la fervida penna di Luigi Natoli ci fa vivere fasti e brutture di un'epoca storica controversa, quella della dominazione borbonica, guidandoci tra luoghi classici di Palermo tutt'oggi esistenti e facilmente rivisitabili e lasciandoci il rammarico di aver raggiunto la fine di una lettura che si vorrebbe non finisse mai.
Biographical notes
Luigi Natoli (1857-1941). Definito come “l’ultimo degli scrittori tipicamente popolari”, è autore di una trentina di romanzi (il più famoso: “I Beati Paoli”) e numerosissime novelle, alcuni dei quali firmati sia con lo pseudonimo di William Galt che, successivamente, di Maurus. A soli tre anni viene recluso, insieme a tutta la famiglia, nel carcere della Vicaria vecchia a Palermo, perché la madre aveva vestito i figli con la camicia rossa per salutare l’arrivo di Garibaldi in Sicilia. I beni di famiglia vengono confiscati e distrutti. La ristrettezza economica che ne deriva lo perseguiterà sino ai suoi ultimi giorni, ma contribuirà allo sviluppo in lui della più radicata e convinta libertà di pensiero. Autodidatta, già diciassettenne collabora col Giornale di Sicilia; a 23 anni insegna italiano nei ginnasi. Offre aiuto e protezione anche a un giovanissimo Michele Catti, fuggito da casa, che porterà con sé a Roma. Costretto a girare in lungo e in largo l’Italia, da Roma – dove si ferma tre anni – si reca a Pisa, da Nuoro a Napoli, e dovunque lega con l’ambiente letterario. Diventa amico di De Roberto, Capuana, Salvatore Di Giacomo, Pitrè, per citarne solo alcuni. Laico e anticlericale convinto, lavora indefessamente e coltiva la sua passione per la cultura e la storia, in particolare quella siciliana, dividendosi tra gli impegni di lavoro – indifferibili anche per via della famiglia molto numerosa – e la frequentazione costante di archivi storici e biblioteche. L’assiduo e intenso studio della storia della Sicilia e delle vicissitudini che l’hanno da sempre travagliata determina in lui la nascita di un sentimento profondo verso la sua terra che permea tutta la sua scrittura, non venendo mai meno nella sua produzione letteraria. Dai due matrimoni (la prima moglie morirà molto giovane; la seconda, Teresa Gutenberg, figlia di quello che sarà il suo editore, condividerà attivamente il suo percorso letterario) nasce una numerosissima progenie. Educa i suoi figli sulla base dello stesso atteggiamento culturale messo in pratica da sempre anche verso i suoi alunni e ispirato alla rettitudine morale, che si può attuare essendo fedeli ai principi di rispetto verso tutto (anche le diverse fedi politiche) e tutti, di lealtà e di onestà. Avviene così che i suoi figli, uniti dalla stessa formazione, finiscono con l’avere convinzioni politiche tutte diverse tra loro, e tutte vissute con grande fervore. Il rifiuto opposto a Mussolini e al regime fascista gli costa la messa all’indice di alcuni libri e addirittura l’allontanamento dall’insegnamento. Ma sino all’ultimo respiro Luigi Natoli si opporrà ai soprusi. E al prete che, nei suoi ultimi giorni di vita, gli promette di togliere i suoi libri dall’indice a patto che ritratti il libro su fra’ Diego La Matina – in cui narra come le malversazioni tra i dominatori spagnoli e il clero determineranno la condanna del frate al rogo da parte dell’Inquisizione – oppone il suo diniego più fermo, invitandolo a riferire ai suoi superiori che “la storia non si può ritrattare o coprire con un velo. Ed un tale potere non l’ho né io né il papa” . La sua ricca produzione letteraria gli darà grandissima fama, ma non gli procurerà alcun beneficio economico.
Nel suo testamento scrisse: “dal mio lavoro non cercai la parte commerciale, ma solo la gioia che mi procurava” .