Descrizione
L'esigenza di attribuire un significato ultimo
all'incessante scorrere degli eventi ha condotto
il pensiero moderno a individuare nella storia un
progresso, uno sviluppo che potesse giustificarne
ogni crisi, ogni male e ogni inevitabile dolore.
Eppure, molto prima del metodo storiografi co di
Voltaire o della grande filosofi a dello spirito di
Hegel, gli storici dell'età classica Erodoto, Tucidide
e Polibio avevano già rinunciato a questa monumentale prospettiva. Per il pensiero classico,
infatti, le gesta degli uomini seguono il corso
dell'eterna ciclicità del cosmo; non il corso della
rivoluzione sociale, ma della rivoluzione immutabile
degli astri.
Fra queste due visioni antitetiche della storia
si colloca, secondo Karl Löwith, la prospettiva giudaico-cristiana, che opera una rottura fondamentale: tanto per il credente quanto per il filosofo della storia, il senso degli eventi non è racchiuso nel passato, ma in un futuro escatologico sempre a venire, capace di determinare ogni fatto alla luce di una storia della salvezza, al cui termine
è attesa la redenzione. Ma se il primo è in grado
di portare la croce, il secondo secolarizza la speranza religiosa nell'incondizionata fede nel progresso, tanto «cristiana nella sua origine» quanto «anti-cristiana nelle sue conseguenze».
Accolto fin dalla pubblicazione nel 1949 come
un classico della filosofi a contemporanea, e riproposto dal Saggiatore per la sua limpida attualità, Significato e fine della storia è l'avvincente archeologia dei presupposti teologici che operano
in ogni filosofi a della storia, decretandone drammaticamente il fallimento. Uno smascheramento – dall'ebraismo di Marx fino alla lettura storica della Bibbia – che non ha rinunciato a evidenziare quelle rare e amate eccezioni, come Burckhardt e Vico, capaci di mantenere sotto il peso dell'eredità storica una prospettiva più umana, e che porta a una tesi di sconcertante radicalità: l'impossibilità della filosofi a della storia.