Descrizione
Questo libro insegue un desiderio: un linguaggio che non riduca le persone a categorie. Immaginiamo che la lingua sia un museo, dove si impara a conoscere presente e passato, oggetti e idee, sensazioni e sentimenti, e si imparano anche i nomi delle cose. Nelle sue sale, alcuni di noi camminano indisturbati, sono le persone "normali", coloro a cui non viene assegnato un nome unico che li definisca; altri invece sono etichettati, catalogati, ricondotti a gruppi – la donna, il musulmano, il gay, la lesbica, la persona disabile, il nero, l'ebreo – che ne semplificano la complessità. Kübra Gümüsay esplora la questione di come il linguaggio modella il nostro pensiero e determina la nostra visione politica. Dimostra come le persone diventano invisibili come individui se sono sempre viste come parte di un gruppo e possono esprimersi solo come tali. Ma come possono le persone parlare davvero come persone? E come possiamo tutti noi – in un momento di discorsi sempre più violenti e pieni di odio – comunicare gli uni con gli altri in modo diverso? Attraverso la lingua e l'uso spesso inconsapevole che se ne fa, Kübra Gümüsay racconta la società contemporanea che si dice multiculturale, e chiarisce come l'unico modo per usare la lingua in senso realmente democratico sia comprenderne le valenze politiche e capirne i meccanismi. Cosa significa legittimare come fossero opinioni discorsi razzisti, xenofobi, violenti che colpiscono le minoranze, le donne, le persone marginalizzate? Cosa significa per chi non è nella "norma" dover spiegare continuamente se stesso, le proprie scelte, la propria religione, il modo in cui ci si veste e chi si ama? In un saggio lucido e schiettissimo, a partire dalla propria esperienza e da quella dei molti con cui si è confrontata negli anni, Gümüsay rimette la lingua al centro del nostro agire politico e denuncia come l'incitazione all'odio, la violenza verbale abbiano conseguenze che nessuno può permettersi di non prendere in considerazione.