Descrizione
È principio, sin dal diritto romano, condiviso quello per cui gli appelli meramente dilatori debbano essere respinti. Ed è pure condiviso il rilievo per cui il legislatore debba puntualmente dettagliare il principio, perché non se ne faccia abusivo impiego. L’esigenza di contenere le impugnazioni pretestuose, nell’ottica di un processo ragionevolmente breve, è sottesa all’inedito “filtro” in appello, introdotto dai canoni 1680 § 2 e 1687 § 4 C.I.C., per come novellati dal Motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus. Spetta all’interprete evitare che dall’applicazione dei disposti derivi una limitazione del diritto di appello incompatibile con il diritto naturale di difesa. Il volume si prefigge di portare a sintesi l’intentio, sottesa alla riforma, di venire incontro ai fedeli, diradando “quam primum” i loro cuori dalla nebbia del dubbio, con quelle garanzie di giustizia che danno sostanza al processo. La non univocità della littera rende obbligato il ricorso al “sistema”. L’indagine storica, la comparazione con i sistemi giuridici secolari e la bussola dell’esegesi sistematica sono, dunque, il viatico di un percorso che, riconciliando il particolare della riforma con le universali garanzie del processo, riconduca la tessera dell’appellatio mere dilatoria nel mosaico dell’ordinamento.