Descrizione
Dopo l’insulso travaglio di pretese riforme specializzate nell’arte del ritocco, all’università italiana serve un’idea che la scuota e ne inverta l’attuale declino, allineandola finalmente ai sistemi di istruzione superiore dei paesi più avanzati. Un’idea non meno radicale di quelle che nell’Ottocento, a partire dal grande filosofo e linguista tedesco Wilhelm von Humboldt, osarono riconfigurare il modello stesso dell’istituzione. Enrico Zanelli abbandona ogni «inutil precauzione», perché giudica che proprio un riformismo insieme velleitario ed esitante, ostaggio di baronie, viscosità burocratiche e tornaconti politici, e ancor sempre radicato in una logica statalista, sia responsabile della malauniversità. Dal grandangolo della sua lunga esperienza di insegnamento nelle università americane, vede i danni della nostra incompiuta apertura al mercato, maldestra parodia di una vera svolta imprenditoriale e privatistica. Per portarla invece a termine non c’è, secondo Zanelli, che la strada di una doppia, dirompente abolizione: dei concorsi per il personale docente – marchingegno garantista solo nella forma – e del valore legale dei titoli di studio, contro la cui «vanità» si era già scagliato un inascoltato Luigi Einaudi. A oltre sessant’anni di distanza, Zanelli ne raccoglie il testimone.
Note biografiche
Enrico Zanelli è professore emerito di Diritto commerciale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Genova. È stato lecturer in diverse università americane, tra cui Harvard e Columbia, e ha svolto attività di consulenza per organizzazioni multinazionali e per il Senato italiano. Tra i suoi ultimi saggi, Diritto, economia e forse giustizia. Da Pindaro a Amartya Sen (2010).