Descrizione
Dalla confessione alla psicoanalisi, sono molti i luoghi in cui si è espressa l’esigenza di raccontare se stessi come momento indispensabile per conoscersi. Ma che cosa significa raccontarsi attraverso la scrittura? La parola
“io” è, insieme, la più generica e la più intima che abbiamo, la più propria e la più condivisa. Poche volte tuttavia questa parola ha avuto una tale capacità di risuonare, ancora oggi, come nel diario scritto tra il 1941 e il 1942 da Etty Hillesum, una giovane ebrea olandese vissuta negli anni dell’occupazione tedesca e deportata
ad Auschwitz nel 1943. Intrecciando la sua voce con quella di altri grandi scrittori di sé (Agostino, Montaigne, Kierkegaard, Jung, Rilke), e avvicinando la sua esperienza di vita alla filosofia dialogica di Martin Buber, il saggio tratteggia un’etica della scrittura diaristica, in cui l’atto di scrivere, il più privato e solitario, diventa lo strumento – l’unico possibile – per incontrare l’altro.
Note biografiche
Ha studiato Filosofia a Parigi e a Roma. Nel 2018 ha condotto una ricerca sui materiali d’archivio del
Centro di Ricerca Etty Hillesum (EHOC) a Middelburg, in Olanda. Attualmente vive a Bologna dove si
occupa di didattica, collaborando come educatrice museale e conducendo progetti di filosofia per i
bambini con l’associazione Filò.