Descrizione
Nel marzo del 1972, un pomeriggio di sabato, Giuseppe Tavecchio, milanese, sessant'anni, pensionato, se ne esce a fare una commissione. A Milano è una giornata di scontri violentissimi tra i manifestanti dell'ultrasinistra e la polizia, con disordini che si protraggono per ore e devastazioni diffuse, incluso l'incendio di alcuni locali della sede del «Corriere della Sera» in via Solferino. Tavecchio passa dal centro durante una pausa dei tumulti; quando, alle cinque e dieci, insieme ad altri pedoni attraversa piazza della Scala, pare un momento di calma. Se non fosse che all'improvviso, senza alcuna ragione comprensibile, da una camionetta della polizia partono alcuni lacrimogeni verso quel gruppetto di persone inermi. Un candelotto, sparato ad altezza d'uomo, raggiunge al collo Tavecchio, che morirà tre giorni dopo senza aver ripreso conoscenza. È una vicenda tragica, che tutti dovremmo conoscere e ricordare. E invece no; perché uno che muore in questo modo non trova nessuno che abbia interesse a perpetuarne la memoria: ovviamente non lo Stato, che, per averne causato la morte, vuole soprattutto farlo dimenticare; non la politica, perché - se i militanti caduti negli scontri si onorano continuamente nel ricordo - sui passanti ammazzati per sbaglio, inutili alla causa, si sorvola con elegante indifferenza; e non i media, visto che un morto così fa ben poca notizia. Sicché ancora oggi il nome di Tavecchio è pressoché assente nelle cronache di quei giorni, comprese quelle in rete; e a ricordarlo non c'è neppure una lapide, di quelle che a Milano rievocano tutte le vittime del periodo, in un lungo cammino di lutti, rimpianti e dolori che l'autore percorre senza eccezioni. È una storia che tra i suoi comprimari vede anche tanti protagonisti di quell'epoca - dal commissario Calabresi a Giovanni Spadolini, da Pasolini a Marco Bellocchio - ma al centro ha solo lui, il pensionato Tavecchio, con la sua vita dall'esito drammatico che questa ricognizione a tappeto ha permesso di ripescare dall'anonimato.
Note biografiche
Andrea Kerbaker (1960) è autore di libri di narrativa e saggistica, alcuni dei quali tradotti in molte lingue. Tra i più letti, il racconto lungo Diecimila e Lo scaffale infinito, dedicati alle molteplici storie dei libri, come i suoi articoli per «Sette», il Domenicale del «Sole 24 Ore» e la Kasa dei Libri, lo spazio culturale cui ha dato vita a Milano. Da sempre attivo nella valorizzazione del patrimonio culturale, tema al centro di un corso magistrale alla Cattolica di Milano e di editoriali per il «Corriere della Sera», vive a Milano con la moglie e i tre figli, che nel 1972 ancora non c'erano, ma sanno bene che molti dei nodi insoluti del presente vanno ricercati nelle storie di quel caotico periodo storico.