Descrizione
Che il romanzo «canonico» dell’Ottocento non costituisca solo la forma tipica della rappresentazione realistica e «seria», ma anche un territorio attraversato da forti impulsi visionari, è un dato acquisito da tempo nel dibattito critico. Nessuno però prima d’ora aveva indagato in profondità, prendendo a campione alcuni tra i più imponenti universi narrativi della tradizione occidentale, la consistenza e le molteplici declinazioni di quel particolare oltraggio alla mimesis che è lo zoomorfismo. Perché mai le cattedrali costruite, mattone su mattone, da Honoré de Balzac e da Charles Dickens esibiscono sulla loro superficie tante figure animali e animalesche? Che genere di rapporti intrattengono quelle scritture con i paradigmi scientifici e con le arti figurative? Quanto incidono, nella selezione dei campi immaginari della bestialità, l’oscuro rimosso dell’«altro» coloniale, l’esperienza della «animalomanie» rivoluzionaria, il culto per gli animali domestici? Infine, è possibile fondare una teoria – o quantomeno un metodo – per un’interpretazione ‘sistematica’ dello zoomorfismo? Nel ripercorrere una miriade di opere in cui quell’immaginario esplode oppure viene progressivamente censurato (come nel processo genetico che va dal Fermo e Lucia ai Promessi sposi), il bestiario definito in queste pagine ricerca risposte oltre le semplici ragioni formali e storico-culturali, restituendo infine tre «mondi di invenzione» – tre zoo di romanzi – abitati da ossessioni d’autore, da stili ‘infetti’, da sconcertanti anamorfosi.